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Edizione di Martedì 8 Marzo – ultimo aggiornamento 15:35

Continua il braccio di ferro USA-Houthi.

Mar Rosso: continua il braccio di ferro tra gli Houthi, la milizia sciita dello Yemen, e le forze armate statunitensi, anzi dietro i due avversari si stanno compattando due fronti contrapposti.

In queste ore è stata diffusa una dichiarazione congiunta di Stati Uniti, Australia, Bahrein, Belgio, Canada, Danimarca, Germania, Italia, Giappone, Olanda, Nuova Zelanda, e Regno Unito in cui gli attacchi Houthi in corso sul mar Rosso vengono definiti “illegali, inaccettabili e profondamente destabilizzanti” , e ancora viene affermato che “non esiste alcuna giustificazione legale per prendere di mira intenzionalmente navi da guerra e navi civili”.

I paesi schierati con gli Stati Uniti infine hanno dato un ultimatum: “o la fine immediata degli attacchi illegali e il rilascio delle navi e degli equipaggi sequestrati o gli Houthi si assumeranno la responsabilità delle conseguenze”. Gli Houthi da parte loro hanno rivendicato l’attacco al mercantile “Cma Cgm Tage” e dichiarato che qualsiasi attacco americano non rimarrà senza risposta, alludendo all’affondamento da parte della Us Navy dei tre barchini della milizia sciita.

In sostengo degli Houthi invece è giunto un cacciatorpediniere della marina iraniana, e sempre la milizia yemenita ha ricevuto gli elogi del segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah.

Lo stesso generale però, leader della milizia filo-iraniana libanese dopo l’eliminazione di Al-Aroiri, uomo di punta di Hamas in Libano, non ha aperto un nuovo fronte e anzi ha chiarito che intende “combattere al fronte con calcoli precisi, ma se il nemico scatena una guerra contro il Libano la battaglia sarà senza limiti e senza regole”.

La Casa Bianca vorrebbe evitare un ulteriore escalation e per il momento sta resistendo alle pressioni di chi ha proposto un attacco in Yemen per distruggere i siti di lancio e gli arsenali che minacciano le navi in transito lungo il canale di Suez. Anche Israele sembra non cercare di entrare in guerra con il Libano a giudicare dalle dichiarazioni di Mark Regev, il consigliere del premier israeliano Netanyahu, secondo cui l’uccisione di Al-Arouri pur essendo avvenuta al di fuori di Gaza e Cisgiordania era un attacco ad Hamas e non allo Stato libanese.